E' la motivazione con cui la Corte d'appello di Potenza un mese fa ha reintegrato i tre operai licenziati a luglio del 2010 ma non riammessi dall'azienda in fabbrica
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Gli operai della Fiat di Melfi, Giovanni Barozzino e Antonio Lamorte, sindacalisti Fiom, e Marco Pignatelli, iscritto allo stesso sindacato, furono licenziati perché sindacalisti. E' la motivazione con cui la Corte d'appello di Potenza un mese fa ha reintegrato i tre operai licenziati a luglio del 2010 ma non riammessi dall'azienda in fabbrica. I tre esercitarono il diritto allo sciopero ma non sabotarono al produzione.
Per i giudici non c'è stato nessun danno alla capacità produttiva dello stabilimento ma, soprattutto, non è stato infranto il divieto di "ledere la capacità del datore di riprendere l'attività dopo lo sciopero".
Davanti a quei carrelli, non avrebbero sostato solo i tre operai licenziati, ma anche altre tute blu alle quali, sostiene la Corte d'Appello potentina, "la Fiat non ha contestato nulla". Sempre davanti ai carrelli sarebbe anche avvenuto uno scambio di battute tra gli operai e il responsabile della linea produttiva: in base alla ricostruzione dei giudici, quest'ultimo si è riferito immediatamente solo a Barozzino e Lamorte (i due delegati) e poi a Pignatelli (che secondo molti colleghi non aveva nessuna "parte da protagonista" in quelle ore) con un "atteggiamento provocatorio", a cui i tre hanno risposto "con un malgoverno delle espressioni verbali".
Nelle motivazioni si fa riferimento anche a un clima di antagonismo nei rapporti sindacali, a cui si aggiunge anche la divisione tra le diverse sigle in riferimento alla vicenda contrattuale di Pomigliano: nonostante ciò, i giudici ricordano che "l'atteggiamento provocatorio" del responsabile della linea di produzione è riportato anche "in un documento unitario da tutta la Rsu nell'immediatezza dei fatti". Dal quadro complessivo, quindi, per la Corte i licenziamenti sono stati un mezzo adottato dalla Fiat "per liberarsi di sindacalisti che avevano assunto posizioni di forte antagonismo". I tre operai, anche dopo la sentenza, non hanno ancora fatto ritorno in fabbrica perché l'azienda ha comunicato loro che "non intende avvalersi delle prestazioni lavorative": stipendio garantito, ma lontano dalle linee produttive.